Vendita forzata di hardware e software: quando esercitare un diritto diventa un'impresa, le regole vanno cambiate
Nel dicembre 2020, il "tribunale ordinario" di Monza, in Italia, ha confermato il diritto al rimborso del costo della licenza Microsoft Windows sul computer acquistato e ha condannato per procedimento abusivo Lenovo, che dovrà versare 20 000 euro di danni al richiedente, Luca Bonissi. Questa è una grande vittoria, dopo un coraggioso percorso legale da parte di un attivista del software libero e una palese dimostrazione della necessità di combattere con determinazione le pratiche di vendita forzata di hardware e software, e della necessità di cambiare le regole del gioco.
Rifiutandosi di pagare la licenza del sistema operativo Windows di Microsoft preinstallato sul computer di marca Lenovo acquistato nel marzo del 2018, che non voleva, Luca Bonissi ha richiesto al produttore il rimborso di tale licenza. Di fronte ai ripetuti rifiuti di Lenovo, ha intrapreso un'azione legale che, a conclusione di un appello della società, ha visto il giudice riconoscere il suo diritto al rimborso della licenza e condannare Lenovo per procedura abusiva. 1
L'esito della causa è certamente una grande vittoria per un attivista del software libero determinato a far valere il suo diritto al rimborso della licenza di un software proprietario 2. È anche un importante riconoscimento dell'asimmetria delle forze e delle pratiche sleali ed aggressive di un produttore come Lenovo che non esita a sfoderare una massiccia artiglieria legale per scoraggiare i suoi clienti ad esercitare i loro diritti. Una situazione purtroppo confermata nel 2016 dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, che aveva dichiarato "pratica commerciale non sleale" questa vendita forzata che costringe le persone ad affrontare queste procedure molto macchinose. Quante persone affronterebbero una procedura del genere per farsi rimborsare una licenza che vale qualche decina di euro? Quando l'esercizio di un diritto è un impresa del singolo individuo, possiamo davvero essere soddisfatti dello statu quo?
Non ci sono dubbi, se è davvero giusto - legalmente ed eticamente - che chiunque possa farsi rimborsare il costo della licenza di un software preinstallato che non desidera, non c'è alcuna giustificazione ché questi oneri ricadano sull'acquirente. Questa situazione è tanto più inaccettabile, sia da parte dei produttori e dei rivenditori, sia da parte delle autorità pubbliche che tollerano queste pratiche, dal momento che esistono soluzioni semplici e consolidate da tempo, come un sistema di codici di attivazione. A questo proposito, April difende l'"opzionalità" che rimuove gli oneri per l'acquirente senza proibire la preinstallazione del software: il software è opzionale (come qualsiasi altro servizio) e i consumatori possono decidere se acquistarlo o meno con il computer. Questo comporta, se necessario, un pagamento supplementare per il software al momento dell'acquisto.
Le autorità pubbliche hanno la loro parte di responsabilità per la loro accondiscendenza di fronte a queste pratiche. Imporre l'acquisto di una licenza software insieme all'hardware deve essere riconosciuto per quello che è: una vendita forzata. A differenza della vendita abbinata, la cui slealtà è valutata caso per caso, la vendita forzata è considerata sleale in tutte le circostanze 3. È quindi vietata in quanto tale, il che alleggerisce notevolmente l'onere della prova in caso di ricorsi. Un'azione politica completa e sistematica è essenziale per combattere queste pratiche predatorie. Sono necessarie regole chiare - che vanno da una giusta qualificazione della pratica a un effettivo diritto all'informazione - così come il coinvolgimento e i mezzi dati alle autorità di concorrenza e di protezione dei consumatori e delle consumatrici.
Complimenti a Luca Bonissi per la sua determinazione nel portare a termine con successo questa coraggiosa azione. Una grande vittoria che ha richiesto più di due anni di sforzi. Se Lenovo viene giustamente condannata, le regole devono cambiare. April rimane mobilitata per lottare contro le pratiche di vendita forzata di hardware e software.
- 1. La FSFE, l'associazione tedesca del software libero di cui Luca Bonissi è membro e a cui ha donato 15.000 dei 20.000 euro ricevuti, racconta la storia dell'approccio dell'attivista sul suo sito (in inglese).
- 2. Nel 2014, la Corte di Cassazione italiana aveva già confermato questo diritto al rimborso.
- 3. Vedi l'articolo 5 della direttiva 2005/29/CE, letto congiuntamente al punto 29 dell'allegato I di tale direttiva.